Descrizione
BORDELLI TORINESI: Materiali inediti e curiosità, fanno di Bordelli torinesi un volume unico nel suo genere, che fa luce su un mondo fino ad oggi conosciuto frammentariamente e in modo disorganico.
Una raccolta di notizie che ci aiuta a guardare limpidamente uno tra i volti meno noti della storia minima di una città che, per quantità e qualità, di bordelli certo non era seconda a nessuna.
Un viaggio documentato, ma mai noioso, sul fenomeno della prostituzione al tempo in cui le case chiuse erano aperte. Documenti d’archivio che ci riportano leggi e regole d’altri tempi, si intersecano con le testimonianze di chi la realtà dei casini torinesi l’ha vissuta intensamente. Risultato di una lunga ricerca, questo volume, arricchito da un notevole apparato iconografico, ci racconta un pezzo di storia piemontese, avendo come perno centrale la casa chiusa, ma con un costante riferimento alla società, a tutte le persone, non solo a chi vende e chi acquista. La prostituta è un soggetto sociale al quale si collegano altri soggetti, anche apparentemente lontani da quello che viene considerato il mestiere più antico. È un libro che mancava nel nutrito panorama editoriale su Torino.
Leggere per credere…
Massimo Centini è nato a Torino nel 1955. Laureato in Antropologia culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della sua città, da oltre vent’anni pubblica con l’editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella. Si occupa di temi legati alla religione e collabora con università e musei italiani e stranieri. Ha dedicato approfonditi studi alle cosiddette culture primitive, svolgendo ricerche sulle pratiche rituali e religiose. Autore di numerosi saggi su tematiche connesse alla sua specializzazione per case editrici nazionali, ha al suo attivo alcuni volumi tradotti in varie lingue. Ha scritto anche una serie di libri sul Piemonte, indagando figure e argomenti meno analizzati della storia e cultura subalpina.
Prefazione BORDELLI TORINESI
La sera del 20 settembre 1958 i goliardi torinesi, vestiti nei loro mantelli con le piume sulle feluche variopinte, si riunirono in via Fratelli Calandra 13 per manifestare, con la solita allegria, contro la legge Merlin che purtroppo, con assurdi pretesti, poneva termine alle gloriose e secolari attività delle case di tolleranza (BORDELLI TORINESI). I goliardi, a centinaia, improvvisarono una fiaccolata in onore di Santa Bernarda. Tra di loro vi era anche un allievo del Conservatorio di Torino, che studiava tromba e composizione; per quell’occasione compose un brano per tromba titolato: Calandra street blues che suonò in religioso silenzio tra le fiaccole accese. Le note di quella musica accompagnarono la fiaccolata per tutto il percorso, che proseguì per corso Raffaello, dove vi era il “casino bello”, quello con i prezzi più alti e che gli studenti guardavano solo dall’esterno. Si arrivò poi in via Principe Amedeo 42 e lentamente la fiaccolata si concluse a tarda notte in via Conte Verde 15. Il giorno dopo, con lo spirito di sempre, i goliardi torinesi attaccarono su tutte le colonne di via Roma un manifesto listato a lutto, scritto in latino maccheronico, ricordando i piaceri e le avventure cavalleresche nei bordelli ormai diventati un ricordo. Alcune “case”, nonostante la legge, continuarono ad essere attive ancora per qualche tempo ma ormai mancavano gli entusiasmi. Restavano i ricordi di quando i giovani studenti, con pochi soldi, radunavano i loro spiccioli fino a raggiungere la somma per una marchetta, poi estraevano a sorte e il “fortunato” saliva le scale di via Conte Verde in rappresentanza del piccolo gruppo che generosamente aveva contribuito alla “singolar tenzone”.
Nella “casa” in via Conte Verde, le “signorine” ricevevano al primo piano in un salone quadrato, arredato con panche scomode sistemate su tre lati e sfilavano in “deshabillé” per promuovere la scelta. Terminata la prestazione, i clienti scendevano la scala dove sulla porta vi era un divertente manifesto pubblicitario che raffigurava un gallo rosso e la scritta: … e adesso ristoratevi con il VOV. Occorre anche smitizzare una leggenda che per frequentare le “case chiuse” si doveva esibire la carta di identità; non ricordo che qualcuno, anche di età inferiore ai diciotto anni, abbia mai prodotto tale documento. Un mio compagno di scuola, raccontava che un giorno, entrando nella maison di via Conte Verde, incontrò suo padre che scendeva le scale.
Durante il Carnevale di Torino, molte “signorine” salivano sul carro che gli studenti universitari preparavano per le sfilate. Per quell’occasione, quando il Carnevale era veramente la festa del piacere, carne-vale, i goliardi erano i protagonisti e le “signorine” vestite con costumi ottocenteschi da orfanelle e senza mutande, durante la sfilata per via Roma, alzavano l’ampia crinolina e mostravano al pubblico l’oscuro oggetto del desiderio. A questo spettacolo un vecchio parroco di campagna urlò: Salòpe!
Nella ricorrenza del 20 settembre ogni anno i goliardi appendevano sulle colonne di via Roma un manifesto a lutto “Ex apertura persianarum anno… de domubus goduriae clausis”. Nel quattordicesimo anniversario della chiusura delle “case” i goliardi, per un raffinato scherzo, tappezzarono la città di Torino con un manifesto serio e credibile, firmato con il nome del sindaco Porcellana, dove si comunicava che a scopo sperimentale si sarebbe riaperta una casa di tolleranza, per una sola notte, a Palazzo Madama. Fu un successo! Verso le ventuno, di fronte all’edificio centinaia di giovani e meno giovani, facevano ressa per entrare. A nulla valse l’intervento dei Vigili Urbani, che inutilmente cercavano di sgombrare la piazza, ma i curiosi continuavano ad arrivare. E così fu per tutta la notte. Era un’epoca in cui gli scherzi erano accettati e gli studenti rispettati per il loro spirito di libertà.
L’ultima “signorina” è mancata circa trent’anni fa. La chiamavano “Marisa dle pupe d’òr”; ormai invecchiata e purtroppo ingrassata per una disfunzione, non esercitava più, vagava per Porta Palazzo ed era benevolmente accettata e aiutata da tutti noi. Non so dove abitasse, forse in un piccolo alloggio di carità, ma lei, senza pensione, ogni mattina passava dai bar che le offrivano un panino e poi tra i banchi della verdura o del mercato coperto dove i commercianti, con molta discrezione, le offrivano il necessario per sfamarsi. Poi portava i proventi delle offerte in una fumosa bettola di via della Basilica angolo via Conte Verde, dal pavimento in legno traballante e l’igiene discutibile. Il titolare, un uomo alto più di due metri, dall’aspetto burbero, manteneva l’ordine tra i clienti che per la maggior parte erano ladruncoli o venditori di sigarette.
“Marisa dle pupe d’òr”, ospite giornaliera della bettola, aveva così il pranzo assicurato. A turno una volta al mese toccava anche a me provvedere alla “signorina”, le donavo il mio obolo e lei, da buona piemontese, mi diceva grassie pitor e mi dava una pacca sulla spalla.
Sembrano storie d’altri tempi, come in un vecchio film in bianco e nero, ma sono state realtà quotidiane, piccole storie che hanno accompagnato l’uomo nei secoli e ora, a distanza di tempo dalla legge Merlin, cosa abbiamo ottenuto? Nulla! E per dirla come Totò: e adesso arrangiatevi!
Ferdinando Viglieno-Cossalino
http://www.soloparolesparse.com/2016/07/bordelli-torinesi-di-massimo-centini/
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