BRUNO SEGRE Non mi sono mai arreso

BRUNO SEGRE Non mi sono mai arreso

Bruno Segre Non mi sono mai arreso racconta la storia dell’avvocato e giornalista torinese, figura tra le più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano.
Combattente partigiano nelle valli del cuneese – dopo aver rischiato la fucilazione nel carcere di via Asti e la deportazione per mano dei repubblichini – nel dopoguerra ha condotto battaglie civili per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (nel 1949 difese il primo obiettore in Italia) e a favore del divorzio.
Durante la campagna referendaria del 1974 fu protagonista di un’iniziativa clamorosa: il noleggio di un aereo da turismo che lanciò su Torino centinaia di migliaia di volantini divorzisti.
Da oltre settant’anni le sue battaglie trovano eco nelle pagine del periodico L’Incontro, da lui fondato nel 1948 e ininterrottamente diretto, ispirato ai principi della pace, della difesa dei diritti umani, del laicismo, dell’opposizione al razzismo e all’antisemitismo.

 

Storia di un libro (e di un’amicizia)
Introduzione di Nico Ivaldi

Questo libro è nato quando ho conosciuto Bruno Segre. Era il 1983 e il sottoscritto, giovane e timido collaboratore della Gazzetta del Popolo, si era appena messo nei guai, querelato da un politico di un Partito che non esiste più. Terrorizzato dalle conseguenze del mio articolo (innocente, riletto trent’anni dopo), telefonai a questo avvocato, di cui avevo già sentito parlare per i suoi trascorsi resistenziali e perché ogni mese mandava, a me come ad altri giornalisti, copie-omaggio del suo mensile L’Incontro.
Lui lesse le carte e mi tranquillizzò. “Vedrai che ritira la querela” disse sereno.
E così andò, per la serenità mia e della mia famiglia che già vedeva l’unico figliolo recluso dietro le sbarre de “Le Nuove”.
Accettai subito l’offerta di Bruno di collaborare con L’Incontro. Conobbi la polvere del suo magico ufficio che straripava di giornali, libri, ritagli, riviste, opuscoli, dossier, faldoni. E m’impressionò la vitalità contagiosa di quell’avvocato sessantacinquenne, con gli occhi curiosi di tutto e la citazione giusta al momento giusto.
Quando gli portavo la recensione che mi aveva affidato, controllava che oltre all’articolo ci fosse anche il libro.
“Ogni tanto ne sparisce qualcuno” mi diceva affranto come se gli avessero tagliato un braccio.
Cominciai a frequentarlo nei miei e suoi ritagli di tempo. I miei erano quelli ricavati tra un esame universitario e un articolo per i giornali a cui collaboravo, mentre i suoi erano i momenti morti fra un cliente e l’altro, spiccioli di minuti che Bruno mi dedicava volentieri al cospetto della sua scrivania avvocatesca, dalla quale i suoi capelli argentati spuntavano tra le alte pile di carta.
Parlavamo tanto, e lui raccontava. Il libro è nato lì, durante quelle chiacchierate a volte di pochi minuti, a volte di intere mezze ore, in cui Bruno ogni volta mi regalava un pezzo della sua vita. Io ascoltavo e memorizzavo. E pensavo che quell’uomo aveva vissuto non una, ma dieci vite, e che un giorno qualcuno avrebbe pur dovuto raccontarle.
Non ricordo esattamente quando decidemmo di metterci seriamente all’opera, ma ricordo come fosse oggi quel sabato del 1995 in cui arrivai alle dieci nel suo ufficio col mio registratore a cassette. Lui cominciò a raccontare (“Sono nato il 4 settembre 1918, quando ancora tuonavano i cannoni della Prima guerra mondiale”) e io a registrare. Non mi ero preparato un elenco di domande, preferivo che fosse Bruno a parlare a ruota libera e che mi dicesse tutto quello che ricordava.
Accumulai cassette su cassette di registrazioni e cominciai a trascrivere tutto. Ero felice, il progetto prendeva corpo e poi Bruno era sereno, non mi metteva fretta.
Mi accorsi ben presto che il problema era proprio questo: nessuno dei due aveva fretta, nessuno dei due si era imposto una scadenza. Così andavamo avanti per inerzia, fino a quando le interviste rallentarono come pure le trascrizioni, colpa anche di sopraggiunti miei impegni lavorativi (si dice sempre così, no?).
Però continuavamo a frequentarci e a vivere la nostra bella e disinteressata amicizia, tra riunioni della “Giordano Bruno” (a Torino e in giro per l’Italia), discussioni, barzellette, cene, progetti e chiacchierate filateliche.
Ma del progetto-libro non parlavamo più.
Ogni tanto con nostalgia rileggevo il testo trascritto, non trovando mai la forza e la voglia per riprenderlo in mano. Né Bruno mi spingeva a farlo: forse sapeva che prima o poi lo avremmo finito.
Un giorno, alla fine del 2008, tredici anni dopo la prima registrazione, stufo di vedere quel malloppo incompleto sulla mia scrivania, andai nel suo ufficio e con piglio deciso annunciai: “Bruno, entro la fine dell’anno prossimo dobbiamo uscire col libro. Rimettiamoci al lavoro!”.
In realtà mi ero prefissato una scadenza inesistente, però era importante ci fosse. Senza di essa chissà che fine avrebbe fatto quel libro…
Da alcuni segnali, capii che lui non aspettava altro. Così lavorammo a capofitto per tutto il 2009. Registrai, trascrissi, correggemmo. Bruno, che è sempre stato un giornalista preciso e pignolo, rileggeva tutto, alle volte trovando errori perfino nelle sue stesse correzioni e facendo impazzire il malcapitato curatore del testo, cioè io.
E il libro finalmente fu stampato. Titolo: Non mi sono mai arreso.
È trascorso altro tempo, nove anni per l’esattezza. Recentemente Bruno ha compiuto un secolo e per celebrarlo degnamente (come è stato fatto con eventi a lui dedicati e perfino con la messa in scena di uno spettacolo tratto proprio da Non mi sono mai arreso) mancava la ciliegina sulla torta: una nuova edizione del libro.
Questa volta siamo stati rapidissimi nel decidere sul da farsi. A luglio gli ho proposto di lavorare a una nuova edizione – da mandare per la prima volta in libreria – e la sua risposta mi è arrivata cinque secondi dopo: “Che bella idea, bravo, ci lavoriamo subito!”.
Ed ecco la nuova edizione: “rinfrescata”, aggiornata, migliorata, integrata, spogliata dei refusi che, ahimé, c’erano in discreta quantità. Ed arricchita con nuove immagini.
La vita di un combattente tosto e irriducibile come Bruno Segre è tutta in queste pagine avvincenti.
Leggetele, e fatele leggere soprattutto ai vostri figli.

…Vorrei essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d’imposizione forzata in sede politica o religiosa.

Sul mio sepolcro vorrei il motto di Saul Bellow:

“Qui giace un vinto – dalla morte – che non si è mai arreso”…

 

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